giovedì 14 luglio 2011


Deela ha un'anima cool, e il suo stile è molto cool; indossa sempre una cravatta tenuta in piedi da una consistente noce di gel e un geco al taschino che ad intervalli regolari succhia dalla stoffa della camicia il capezzolo sinistro. Agli occhi un'ombra di canapa riflette la luce solare come un laser che non ha alcun interesse delle opinioni e così pare sempre incedere oltre. Questa mattina resta più del necessario incollato alle lenzuola e al materasso e all'oscurità di una stanza immemore della giornata appena destatasi oltre le persiane socchiuse: vorrebbe addormentarsi di nuovo, nel sogno ricordava eventi trascorsi in sogni precedenti, e persisteva quell'impalpabile sensazione di deja vu onirico, come qualcosa di fondamentale avvertita da ogni fibra del suo corpo ma che la sua comprensione neppure riusciva a lambire: onde senza alcuna forza, marea di una luna cadente. Forzando il collo vide una piaga sul costato, fresca, rossa di bacca selvatica, ai cui bordi erano incise alcune lettere: dimentica te stesso. Vide una lama affondarvi, seguì un machete, un giavellotto, un peschereccio affondava nella piaga, una nave da crociera e un sottomarino issato il telescopio venne subito ricoperto dai gorghi di una balena che affondava, atlantide, un'intera civiltà di selvaggi affondava e tutto il firmamento compreso Faust vi affondava senza profferir parola perchè tutto il linguaggio stava affondando nella piaga, ogni significato, ogni nome e ogni cosa legata a quel nome, tutto affondava sino a che, nell'oscurità più totale, sentendo solo un rimbombante gorgoglio, si chiese se tutto ciò aveva a che fare con il marchio che sulla spalla sinistra luccicava d'una colpa che ancora non era riuscito a metabolizzare. Era questo suo sentirsi? Ma non fece in tempo a scandagliare oltre l'anima sua perchè l'oscurità fu trascinata e inghiottita nel gorgo e ogni percezione seguita dalla consapevolezza sino a che persino se stesso finì nell'immensa brodaglia primordiale di quella piaga aperta ad ogni esperienza. Un punto fu l'unico a sopravvivere. Un punto a capo di nuove matasse di spazio e tempo da svolgere. 

3 commenti:

  1. "Nostro padre si decise per il gorgo, e in tutta la nostra grossa famiglia soltanto io lo capii, che avevo nove anni ed ero l’ultimo.
    In quel tempo stavamo ancora tutti insieme, salvo Eugenio che era via a far la guerra d’Abissinia. Quando nostra sorella penultima si ammala. Mandammo per il medico di Niella e alla seconda visita disse che non ce ne capiva niente; chiamammo il medico di Murazzano ed anche lui non le conosceva il male; venne quello di Feisoglio e tutt’e tre dissero che la malattia era al di sopra della loro scienza.
    Deperivamo anche noi accanto a lei, e la sua febbre ci scaldava come un braciere, quando ci chinavamo su di lei per cercar di capire a che punto era. Fra quello che soffriva e le spese, nostra madre arrivò a comandarci di pregare il Signore che ce la portasse via; ma lei durava, solo piú grossa un dito e lamentandosi sempre come un’agnella.
    Come se non bastasse, si aggiunse il batticuore per Eugenio, dal quale non ricevevamo piú posta. Tutte le mattine correvo in canonica a farmi dire dal parroco cosa c’era sulla prima pagina del giornale, e tornavo a casa a raccontare che erano in corso coi mori le piú grandi battaglie. Cominciammo a recitare il rosario anche per lui, tutte le sere, con la testa tra le mani." ...

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  2. .."Uno di quei giorni, nostro padre si leva da tavola e dice con la sua voce ordinaria:
    - Scendo fino al Belbo, a voltare quelle fascine che m’hanno preso la pioggia. -
    Non so come, ma io capii a volo che andava a finirsi nell’acqua, e mi atterrì, guardando in giro, vedere che nessun altro aveva avuto la mia ispirazione: nemmeno nostra madre fece il più piccolo gesto, seguitò a pulire il paiolo, e sì che conosceva il suo uomo come se fosse il pri¬mo dei suoi figli. Eppure non diedi l’allarme, come se sapessi che lo avrei salvato solo se facessi tutto da me.

    Gli uscii dietro che lui, pigliato il forcone, cominciava a scender dall’aia. Mi misi per il suo sentiero, ma mi staccava a solo camminare, e così dovetti buttarmi a una mezza corsa. Mi sentí, mi riconobbe dal peso del passo, ma non si voltò e mi disse di tornarmene a casa, con una voce rauca ma di scarso comando. Non gli ubbidii. Allora, venti passi piú sotto, mi ripeté di tornarmene su ma stavolta con la voce che metteva coi miei fratelli piú grandi, quando si azzardavano a contraddirlo in qualcosa .
    Mi spaventò, ma non mi fermai. Lui si lasciò raggiungere e quando mi sentí al suo fianco con una mano mi fece girare come una trottola e poi mi sparò un calcio dietro che mi sbatté tre passi su."...

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  3. .."Mi rialzai e di nuovo dietro. Ma adesso ero più sicuro che ce l'avrei fatta ad impedirglielo, e mi venne da urlare verso casa, ma ne eravamo già troppo lontani. Avessi visto un uomo lì intorno, mi sarei lasciato andare a pregarlo: - Voi, per carità, parlate a mio padre. Ditegli qualcosa, - ma non vedevo una testa d'uomo, in tutta la conca.

    Eravamo quasi in piano, dove si sentiva già chiara l'acqua di Belbo correre tra le canne. A questo punto lui si voltò, si scese il forcone dalla spalla e cominciò a mostrarmelo come si fa con le bestie feroci. Non posso dire che faccia avesse, perché guardavo solo i denti del forcone che mi ballavano a tre dita dal petto, e soprattutto perché non mi sentivo di alzargli gli occhi in faccia, per la vergogna di vederlo come nudo.

    Ma arrivammo insieme alle nostre fascine. Il gorgo era subito lì, dietro un fitto di felci, e la sua acqua ferma sembrava la pelle d'un serpente. Mio padre, la sua testa era protesa, i suoi occhi puntati al gorgo ed allora allargai il petto per urlare. In quell'attimo lui ficcò il forcone nella prima fascina. E le voltò tutte, ma con una lentezza infinita, come se sognasse. E quando l'ebbe voltate tutte, tirò un sospiro tale che si allungò d'un palmo. Poi si girò. Stavolta lo guardai, e gli vidi la faccia che aveva tutte le volte che rincasava da una festa con una sbronza fina.

    Tornammo su, con lui che si sforzava di salire adagio per non perdermi d'un passo, e mi teneva sulla spalla la mano libera dal forcone ed ogni tanto mi grattava col pollice, ma leggero come una formica, tra i due nervi che abbiamo dietro il collo" (fenoglio - il gorgo)

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