domenica 4 settembre 2011

Immerso nelle quattro pareti del mio carrarmato ingrano la marcia, svolto non appena un velo polveroso intorbida al tuo sguardo sospeso sul davanzale il mio didietro cingolato. Osceno il mio corpo su cui nessuna parola si posa, non posso ricordare nulla di quello che dici fra i denti affilati come avvoltoi. Girano in tondo i tuoi occhi. Osceno il mio corpo su cui non si posa nessun seme di carne, le tue mani arretrano e le tue labbra sibilano antiche maledizioni. Mi tenevi accanto come uno spaventapasseri, un mostro che facesse fuggir via orrori ancor più spaventosi, capaci di farti del male. Io, ero solamente un ideale incarnato di inutile prossimità, vago senso del pudore dell'inappetenza della vita.

2 commenti:

  1. La vita non è mai inappetente.
    E' sempre una questione di aspettative e prospettive

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  2. Tutto è una prospettiva, la sua è quella descritta sopra, in cui sente l'inappetenza della vita. Almeno in quel momento. Poi, magari la stessa tornerà a divorarlo

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