venerdì 22 giugno 2012

Sono molto stanco... molto... vorrei dormire, ma non posso... non posso... dissi scrollandomi la cenere dai capelli. Il pavimento raccoglieva tutto quello che si staccava da me:  c'erano foglie, inchiostro, pensieri che crollavano come edifici di carta, farfalle, una volta erano farfalle, ora nelle crisalidi si agitavano nel sonno bruchi, quel sonno che non potevo permettermi.
Riposa, china l'orgoglio sulle mie candide cosce, gli dissi, irretita, rassicurandolo dall'oscurità delle mie cosce accavallate, fra le mie cosce, schicciando col tacco le parole che si staccavano dal suo corpo, come pelle secca, morta, senza più  vita.
Mi amerai? Farò di tutto, tutto il possibile perchè tu possa odiarmi, detestarmi, mi amerai per questo? Rispose con un filo di voce, viscoso, alla cui estremità un ragno attendeva, immobile, la preda che dalle mie labbra avrebbe potuto alleviare la sua fame, la sua fame oscura d'amore.
Non temermi, scostati dall'ombra del tuo stesso corpo e lasciati guardare. Di cosa hai paura? Sei nudo? Non essere osceno. Ti amo, ma devo correggerti, per amarti. Disse scandendo acutamente le labbra, come colpi secchi e decisi di scalpello s'un materiale informe.

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