venerdì 1 giugno 2012

Era un' ardua impresa avere un confronto con lui, diretto, senza tutte quelle fottute guardie del corpo che gli svolazzavano e strisciavano attorno. Lo riconoscevi da lontano, appena si profilava all'orizzonte, ma a nulla serviva ingegnarsi a scovare qualche breccia nel nugolo di insetti che gli vorticavano attorno; sciami, palpitanti, come un'aura fremente, lo accompagnavano ovunque, aggrovigliandosi alle sue caviglie, inghiottiti ed eruttati dagli orifizi del suo volto, avvolti come un manto pulsante che prende la forma di colui che lo indossa. Ebbri. Mai visto insetti ebbri, così ebbri come baccanti ignote alla sobrietà. Qualcosa nel suo sangue, qualcosa del suo odore, qualcosa li attirava, come se seguissero le istruizioni di un codice puramente istintuale; gli automatismi organici mi lasciavano allibito. Ma c'è altro... prede richiamano sempre predatori, dal più piccolo al più grande, attorno a lui si svolgeva incessantemente una cruenta lotta per la sopravvivenza, sino a che dalle carcasse stratificate come enormi città in rovina, fra labirinti di ossa e guglie di carne divorate dagli spazzini, immense processioni di larve invertrebate dalle uova crescevano come una marea di una invisibile luna sino ad affollarsi dentro i caldi cunicoli dei pori della sua epidermide. Li avveniva il rituale della metamorfosi. Per alcuni. Altri, semplicemente, attendevano che fossero maturi i tempi per lasciare il grembo di carne e accompagnarlo ovunque lui andasse. L'ubiquità è gelosamente custodita dalle scintille fra le antenne.

" Kashmir "

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