mercoledì 15 giugno 2011

Oggi devo farmi bello, lavarmi, radermi, tagliarmi le unghie dei piedi, delle mani, del naso i peli, accorciarmi i capelli, e aprirle la porta non appena sentirò le sue nocche bussare. Aprirò la porta, invitandola a sedersi e, se non volesse sedersi, la inviterò a starsene in piedi. Avrà tutto il tempo che le occorrerà per ambientarsi, guardarsi intorno, decidersi, riconoscermi e sedersi alfine, desiderando qualcosa da bere. Non che abbia qualche abilità psichica, che sappia leggere la mente o intuire solo il riflesso dei desideri che galleggiano come pesci argentanti nello stagno oscuro dei suoi occhi, non che qualcuno avesse potuto suggerirmelo, non avevo nemmeno idea di dove si fosse cacciato il narratore, già stringevo in mano alcune banconote che solitamente gli allungavo distendendo in profondità il braccio così da assicurarmi con un certo anticipo l'esclusiva su quali avvenimenti si sarebbero svolti da lì a qualche minuto. Le versai da bere addosso. Gocciolava. Non smetteva di sciogliersi. Non osai levarle di dosso i vestiti, sarebbe sembrato inopportuno, non osavo nemmeno immaginare cosa avrebbe potuto pensare di me se avesse solo colto l'intenzione nelle mie mani protese. L'afferrai poco prima che i sensi la abbandonassero del tutto e, deponendola s'un vaso, la incoraggiai ad afferrare per bene la terra e a restare in equilibrio. L'equilibrio, il vento divenne il suo equilibrio.

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